L’analisi armonica di un brano si rivela fondamentale per una comprensione di come il brano sia stato composto e ci offre allo stesso tempo dei modelli di riferimento cui ispirarsi per lo sviluppo delle proprie idee originali. Analizziamo insieme un blues del grande Django Reinhardt.
Introduzione
Chiarisco subito che per analisi armonica intendo anche l’analisi melodico/ritmica del tema o del solo preso in considerazione. Questo per creare corrispondenza tra la sigla dell’accordo, la sua funzione armonica e, appunto, la linea solista. In questa prima parte analizzeremo solo l’aspetto riguardante l’armonia.
Per arginare l’entità dell’argomento propongo l’analisi di un jazz blues in DO maggiore nello stile gipsy jazz; nello specifico il brano di Django Reinhardt dal titolo Blues Clair. In questo caso Il fatto di attingere al repertorio manouche non credo restringa l’ambito d’interesse ai soli amanti del genere dal momento che esso rappresenta, per come si sviluppa armonicamente, un esempio di jazz blues standard.
Infine aggiungo che la mia attenzione si è rivolta ad un blues dal momento che esso rappresenta una forma indispensabile per ogni musicista. Detto ciò, la conoscenza della sua struttura risulta a mio avviso imprescindibile.
Blues classico: la struttura
Prima di addentrarci nello specifico, ripropongo la forma classica di un blues maggiore in 12 battute che prevede la seguente struttura:
Questa è una delle strutture più semplici e che possono prevedere delle varianti; ad esempio la sostituzione, nella seconda battuta, del IV grado al posto del I oppure, nell’ultima battuta, la ripresa del V grado al posto del I per rilanciare il giro.
Ho scritto gli accordi senza aggiungere la settima minore, solitamente prevista per ciascun accordo, proprio per evidenziare la struttura nella sua forma più semplificata. Basterà però aggiungere questo intervallo per mettere in luce il fatto che il blues è in realtà una forma musicale piuttosto “instabile” poiché i tre accordi di dominante identificano (a rigor di logica) tre diversi centri tonali. Se prendessimo infatti in esame un blues in DO maggiore avremo:
C7 (V grado)
F7 (V grado)
G7 (V grado)
distribuiti secondo la struttura proposta sopra (o ad una delle sue varianti).
C7 rimanda alla tonalità di FA maggiore o minore; F7 al SIb maggiore/minore; G7 al DO maggiore/minore. In altri termini il blues è una forma MODALE che offre grande libertà e che, in alcuni casi, raggiunge livelli espressivi estremi. Non siamo però qui a discutere se è meglio usare la pentatonica o la scala diminuita, bensì a cercare di inquadrare armonicamente il blues nella versione più standard utilizzata nel jazz e affini.
Confronto tra il blues classico e Blues Clair
Ritornando al nostro brano di riferimento Blues Clair, ecco come si presenta la struttura sullo spartito:
La prima cosa che salta all’occhio è un maggiore numero di accordi e di addizioni (colori) sugli accordi stessi. Si tratta di una delle caratteristiche essenziali che distingue il blues tradizionale (più scarno) rispetto a quello suonato ad una jam in un jazz club. Anche e ancor più nella versione jazzistica, il blues subisce delle varianti armoniche che più tardi elencheremo, e che verranno meglio comprese dopo che avremo approfondito il modo di armonizzare il blues da parte dei musicisti di jazz.
Nel condurre l’analisi terremo conto della struttura tradizionale perché in fondo il jazz (e gran parte della musica moderna) fonda le sue radici proprio li.
Anche il jazz blues parte con un I grado solitamente suonato come accordo di dominante; ma in Blues Clair lo troviamo avente una funzione più di I grado diatonico. Questo aspetto è già un importante elemento di distinzione e differenza con le versioni del blues classico e del jazz blues standard, dal momento che, come ho rilevato precedentemente, il I grado si trova in realtà sotto forma di accordo di dominante e quindi con funzione di V grado piuttosto che di I. Sembra un controsenso dire che un blues sia in tonalità di DO maggiore se poi inizia con C7. In realtà è corretto dire che è in DO maggiore dal momento che la forma base prevede una sequenza ordinata di un I, IV e V grado e che, da un punto di vista intervallare, fa riferimento al I grado.
L’aggiunta della settima minore su ciascun accordo sembra veramente legato all’esigenza di identificare un certo tipo di sound che probabilmente fonda le sue radici in ragioni anche di ordine storico-culturali.
Quest’ultimo discorso può essere fatto anche per la versione jazzistica del blues: modificare l’armonizzazione al fine di creare una nuova base che fondi le proprie radici sulla tradizione e che allo stesso tempo offra nuovi stimoli su cui sviluppare un nuovo linguaggio sperimentale avviato e condotto per tutto il Novecento fino ai giorni nostri.
Torniamo alla nostra analisi.
Alla quarta battuta si presenta una variante molto comune ed utilizzata: il C6/9 delle prime tre battute lascia il posto ad un C9 ovvero ad un accordo di dominante (con estensione alla 9). Tale accordo serve ad introdurre, in modo più consono allo stile jazzistico, il IV grado; nella prassi infatti quel C9 viene denominato V/IV che si legge V del IV. Si trova comunemente anche l’anticipo del V/IV con il II grado in modo da formare la semi falsa cadenza in FA; quindi nello specifico lo spazio della quarta battuta può essere così suddiviso: | Gm7 C7 |.
Riepiloghiamo quello che abbiamo visto fin qui:
La progressione procede con due battute del IV grado e quindi nello specifico con F7:
Varianti tra il jazz blues standard e Blues Clair
Una variante spesso usata (nel jazz più che nel gipsyjazz) è un IV#°7 sulla sesta battuta: si tratta di una variante molto interessante (tipica anche della musica classica ma in contesti diversi) e può essere giustificata in modi diversi. Uno dei modi più semplici per comprenderla è che essa risulta essere una sorta di appoggiatura cromatica al I grado; nel nostro caso infatti la variante in questione sarebbe un F#°7 che è formato dalle seguenti note: FA#, LA, DO, MIb. Risulta già di per se evidente che tipo di attrazione possa avere sul successivo C6/9 che è formato (per esteso) da DO, MI, SOL, LA, RE: il FA# risolve a SOL, le note LA e DO sono note comuni, il MIb risolve su RE.
Una spiegazione più complessa attribuisce a quel F#°7 il valore di sostituto del V/V ma invece che risolvere sul V allo stato fondamentale, cade (secondo una certa prassi compositiva) sul I grado ma al 2° rivolto. In altre parole la progressione di riferimento sarebbe:
Quindi aggiorniamo ancora una volta la nostra analisi:
L'inserimento della progressione II-V-I
Eccoci arrivati ad un altro passaggio tipico del jazz blues: spesso l’ottava battuta presenta una CADENZA preparatoria all’arrivo della tipica progressione jazz II V I che occuperà le successive due battute.
L’armonia di riferimento dell’ottava battuta è un A7 ovvero un V/II che spezzato con una semi falsa cadenza diventa un Em7 A7 ovvero un II V di REm. Ora, avere presente quale è l’armonia base di riferimento, significa comprendere le possibili varianti: nel nostro caso abbiamo una discesa cromatica da Em7 a Dm7 attraverso Ebm7 il che può essere giustificato proprio come discesa in “blocco” di una stessa forma accordale. Si potrebbe forzare l’analisi dicendo che quel Ebm7 potrebbe essere visto come un A7alt il che, in linea di principio, è ammissibile. Altre varianti saranno quindi possibili:
- Em7 E°7 (sostituto di LA7/b9)
- Em7/b5 A7 (II V della tonalità di REm)
- A7 (per l’intera battuta)
- …………..
Aggiorniamo ancora la nostra analisi:
Battute finali e turnaround
Le quattro battute finali (II V I V) decretano la definitiva identità del jazz blues rispetto alla forma tradizionale. In questo passaggio troviamo infatti la prima vera e propria progressione armonica che esce dallo schema del blues classico. Le ultime due battute prevedono solitamente un Turnaround anch’esso eseguibile in diverse forme. Nella versione di Blues Clair è frequente questa variante:
Dove Eb°7 è sostituto relativo di D7/b9 seguendo il tipico (non solo del jazz) clichè:
Dove il valore di dominante del II7 (ovvero del V/V) viene annullato trasformandolo in II diatonico.
Un’altra variante molto impiegata è il classico turnaround:
Cui è possibile variare ulteriormente ricorrendo alle tipiche sostituzioni con gli accordi diminuiti o di tritono.
Blues Clair e il prototipo del jazz blues standard
Ecco dunque l’analisi completa del nostro Blues Clair come prototipo di un jazz blues standard:
Mettiamolo ora a confronto con la struttura jazz blues standard completa delle varianti viste:
Conclusione
Come potete vedere le due versioni del jazz blues (quella gipsy jazz e classic jazz) seppur nelle loro varianti, mantengono quelle caratteristiche identificative che le differenziano dal blues classico. La cosa che salta all’occhio e che rappresenta la principale nota distintiva del jazz blues è un frequente uso della progressione ( II V ); sia nella forma diatonica che in quella di dominante secondaria.
Prendere consapevolezza e confidenza con tale struttura consente di comprendere meglio il brano e le varianti che via via nel tempo sono state introdotte . Ci fornisce inoltre elementi conoscitivi e stilistici per poter apportare le nostre personali variazioni.
Alla prossima!