Mettiamo in chiaro alcuni aspetti delle misure, dei tempi e della loro formazione. Cosa sono i movimenti, gli accenti, le suddivisioni, le sincopi e i controtempi e le varie tipologie di solfeggio.
In questo articolo vedremo le basi basi della notazione musicale per quanto riguarda l'aspetto metrico/ritmico. Passeremo in rassegna concetti fondamentali come le misure e l'utilizzo delle stanghette. Cercheremo di chiarirci le idee su tempi e movimenti, accenti, suddivisioni ed altro ancora. Allora... iniziamo?
Cosa sono le misure
Scorrendo con gli occhi un qualsiasi spartito musicale possiamo notare come esso sia suddiviso attraverso delle linee verticali, comunemente chiamate stanghette. Inoltre all’inizio del rigo musicale, accanto alla chiave di riferimento, vediamo una frazione. Lo spazio compreso tra le stanghette è il nostro contenitore, che viene chiamato misura o battuta. La frazione indica la durata delle battute. Se la frazione indica 4/4 vuol dire ogni battuta deve contenere un insieme di valori delle note e delle pause equivalente a 4/4. Se dovete ancora chiarirvi i concetti base della durata delle note e delle pause potete andare all’articolo dedicato cliccando qui.
Le stanghette
Nella notazione musicale vengono adottati vari tipi di stanghette oltre a quelle normali. Quelle doppie vengono utilizzate per evidenziare la struttura di un brano, per esempio posso scrivere una stanghetta doppia alla fine dell’ultima battuta della strofa prima del ritornello. Poi esistono le stanghette del ritornello che servono per scrivere una volta sola una sezione che deve però essere suonata due o più volte. Infine abbiamo la stanghetta di fine brano, che è una stanghetta doppia con la seconda più spessa.
Tempi e movimenti
Ogni battuta è suddivisa a sua volta in tempi o movimenti. La parola movimento deriva dal movimento della mano, utilizzato per la scansione della durata delle note nel solfeggio. Nella frazione iniziale il numeratore indica il numero dei movimenti, il denominatore il valore di ogni movimento. 4/4 quindi significa che le battute saranno formate da 4 movimenti del valore di un quarto l’uno. La frazione indica quindi il tempo delle battute. A volte per definire questo parametro viene usata anche la parola metro. Chiaramente esistono altri tempi oltre al 4/4, per spiegare il motivo per cui esistono brani per esempio in 3/4 o 5/4 dobbiamo chiarire il concetto degli accenti.
Gli accenti nelle battute
All’interno delle battute troviamo un susseguirsi di accenti, cioè di tempi forti e deboli. La regolarità delle successioni di questi accenti determina il tempo. Il tempo forte per eccellenza è quello sul primo movimento. Esiste anche il movimento detto mezzoforte, come il terzo movimento in una battuta da 4/4. Ecco gli esempi degli accenti in 4/4, 3/4 e 2/4. Per indicare la qualità dei movimenti useremo le iniziali: F = forte, D = debole, MF = mezzoforte.
La suddivisione dei movimenti
Uno dei concetti fondamentali riguardanti l’aspetto ritmico del solfeggio e la definizione del metro è la suddivisione del movimento. Abbiamo già toccato l'argomento per quanto riguarda i valori delle note, potete andare all'articolo cliccando qui. Lo spazio tra un battito e l’altro può essere suddiviso in una infinità di modi, ma la prima differenza che deve essere messa in chiaro per quanto riguarda i tempi è quella tra suddivisione binaria, cioè in due parti uguali, e ternaria, cioè in tre parti uguali.
Non ci addentreremo in questa lezione sulle conseguenze di questa differenza, mi limito ad accennare il concetto di base e a farvelo ascoltare con i prossimi esempi audio. Nel primo potete ascoltare un metronomo e la suddivisione binaria, cioè in due note di cui quella sul metronomo viene definita in battere e l'altra in levare. Nel secondo esempio invece avete lo stesso metronomo ma con la suddivisione ternaria, quindi avremo una nota in battere e due in levare.
La sincope e il controtempo
Abbiamo visto che una misura è formata da una serie di tempi, o movimenti. Di questi il primo è il più forte. A questo seguono gli altri a seconda del metro utilizzato (3/4, 4/4, ecc.). La stessa alternanza di parti forti e deboli succede anche internamente ai movimenti, cioè nelle suddivisioni, che a loro volta saranno posizionate nella parte forte o debole del movimento stesso.
Le note possono iniziare su un tempo forte, ma anche su un tempo debole, ed avere poi una durata varia. Questi elementi ritmici prendono il nome di sincope e controtempo, anche detto contrattempo.
La sincope è costituita da una nota che inizia sul tempo debole e continua nel tempo forte. Vediamo di fare chiarezza con due esempi. Nel primo troviamo una serie di note con l’accento ritmico regolare, cioè che iniziano sul tempo forte. Nel secondo invece spostando le note vediamo una serie di sincopi.
Il controtempo inizia sul tempo debole, allo stesso modo della sincope, ma non continua sul tempo forte. All’atto pratico le note sono quindi alternate da pause. L’esempio seguente si basa su quello visto in precedenza, in questo caso però ho eliminato la prosecuzione delle note sul tempo forte aggiungendo, appunto, le pause. Gli attacchi delle note resteranno gli stessi dell’esempio precedente.
I vari tipi di solfeggio
Una volta messi in chiaro i concetti di altezza, durata delle note, tempi e movimenti siamo arrivati all’aspetto della pratica, che si concretizza nel solfeggio.
Esistono tre tipi di solfeggio: ritmico, parlato e cantato.
Quello ritmico consiste nel cantare solo la ritmica delle note. Spesso viene usata la sillaba TA, in cui la T rappresenta l’attacco della nota e la A la sua prosecuzione nel tempo.
Il solfeggio parlato è il mezzo per imparare a leggere altezza e durata delle note. Dobbiamo pronunciare il nome delle note sul pentagramma mentre ne rappresentiamo la durata allungando o meno le vocali contenute nei nomi delle note stesse.
Il solfeggio cantato comprende tutti i parametri, è il metodo più completo ed anche il più completo e impegnativo. In questo caso dobbiamo cantare altezza e durata dei suoni mentre pronunciamo i nomi delle note.
Considerazioni sul solfeggio
Il solfeggio è la “bestia nera” dei corsi di teoria, soprattutto nelle scuole di musica moderna. Non è una pratica obbligatoria per coloro che vogliono solo divertirsi suonando. Ma, come ho già scritto in altri articoli, non lo è neanche per un’artista che voglia unicamente esprimersi attraverso la propria arte. La storia è piena di grandi musicisti che sapevano ben poco di concetti come misure, accenti, e in generale di teoria musicale e solfeggio.
Il discorso cambia per chi vuole fare della musica il proprio lavoro e per chi vuole capire fino in fondo i meccanismi musicali di base. In questi casi… c’è da studiare. Per il musicista moderno può bastare un’infarinatura di base, senza bisogno di arrivare alla lettura di tutte le chiavi o di impossibili scomposizioni ritmiche. Già essere in grado di solfeggiare con un pò di scioltezza in chiave di violino e di basso ed essere in grado di leggere le figure ritmiche più comuni può farvi compiere un notevole balzo in avanti nella vostra comprensione della musica.
Ciao alla prossima e buono studio!