Uno dei chitarristi più interessanti della storia del jazz ed il possibile padre dell'acid jazz: suono, swing e stile
Grant Green è troppo spesso considerato un chitarrista di seconda fascia, poiché oscurato dalla presenza di vari giganti nella storia del jazz sia durante la sua carriera che dopo.
Non a caso, diversi dischi e raccolte di notevole pregio sono stati pubblicati postumi, anche di recente.
Tuttavia, nello stile e nella ricerca di Grant Green possiamo trovare diversi elementi importanti: sicuramente la conoscenza degli stilemi del suo periodo, divenuti poi tradizionali e - particolare da non trascurare - una grandissima vena artistica in ambito gospel e soprattuto funk. Alcuni lo hanno definito il padre dell'acid jazz.
Grant Green e la sua prima formazione musicale
Grant Green nasce il 6 giugno del 1935 a St. Louis, famosa città dalla tradizione blues nel Missouri.
La sua formazione musicale comincia sin da bambino grazie ai consigli del padre, anch’egli chitarrista. Inutile sottolineare come Green diventerà prestissimo una grande autodidatta ispirandosi ai grandi chitarristi della scena passata: uno su tutti Charlie Christian.
Le prime esperienze musicali dal punto di vista professionale arrivano già durante la sua adolescenza: Grant Green suona prima gospel, rhythm and blues ed in seguito si dà al boogie-woogie.
Virando verso il jazz, Green ha la possibilità di registrare un primo da lavoro da sideman con il gruppo del sassofonista Jimmy Forrest. In questa formazione troviamo anche il leggendario batterista Elvin Jones.
Green farà diversi dischi insieme ad Elvin Jones, e dopo essere stato chiamato sassofonista Lou Donaldson, intorno al 1960, si trasferisce a New York.
La Blue Note ed il primo disco da leader
Come abbiamo visto spesso, durante gli anni ’60 la Blue Note, nota casa discografica americana, ha dato il via a brillanti carriere di vari musicisti jazz, diversi dei quali chitarristi.
Grazie alla collaborazione con Donaldson, Grant Green entra in contatto con i discografici della Blue Note. Dato il suo talento, il chitarrista di St. Louis viene subito proposto come leader di un progetto discografico. Tuttavia, nonostante le grandi capacità di Green, la registrazione risulta non essere eccezionale a causa della sua mancanza di confidenza con le sessioni di registrazione.
Questo primo disco uscirà, infatti, soltanto nel 2021 con il titolo di First Session.
Onestamente il lavoro contiene tutta la sincerità, la carica e lo stile del bravissimo chitarrista, ma la scelta della produzione fu quella di accantonare il lavoro.
Grant’s First Stand - Prima pubblicazione
Nonostante queste prime difficoltà iniziali, il rapporto con la Blue Note fu altamente produttivo.
Negli anni compresI tra il 1961 ed il 1965, Grant Green fu il musicista a registrare più dischi, sia da leader che da sideman, con la casa discografica di New York.
Nel 1961, solo poco tempo dopo la prima registrazione appena scartata, Grant realizza e pubblica ciò che è da considerare ufficialmente il suo primo disco: Grant’s First Stand.
Si tratta di un disco in organ trio, formazione che in quegli anni spiccherà il volo, senza dubbio anche grazie a Wes Montgomery. Troviamo Baby Face Willette all’organo e Ben Dixon alla batteria.
Il titolo del disco corrisponde a quello di un brano contenuto nella precedente registrazione, tuttavia non inserito in questa track list.
Il disco esprime grandi contenuti già nei primi due brani, stilisticamente diversi: Miss Ann’s Tempo e Lullaby of The Leeves.
Idle Moments
Idle Moments è probabilmente una delle registrazioni più famose di Grant Green. Il disco del 1963 vanta la presenza in formazione del grande sassofonista Joe Henderson.
La title track in DO minore è una pietra miliare di quel jazz intriso di slow blues e scene notturne. Impressionante la scelta dell’epoca di porre il brano all’inizio del disco pur avendo una grande durata: circa 15 minuti.
Alfred Lion sfruttò una probabile indecisione dei musicisti presenti, che eseguirono più ripetizioni del tema, lento e lungo, generando così una take dal carattere quasi sacrale.
Anche altri brani presentano una notevole durata, come Django e Jean De Fleur, ma in diverse edizione hanno subito notevoli tagli.
In quegli anni Green produce anche diversi dischi concept legati a diversi generi e sottogeneri a lui cari:
Sunday Morning per il gospel, The Latin Bit per il latin e Feelin’ the Spirit per gli spirituals.
Tanta musica nascosta per anni
Nel 1962 Grant Green è su Down Beat come migliore star emergente ed ha spesso un ruolo importante nel supportare altri colleghi nei rapporti discografici con la Blue Note: Stanley Turrentine, Hank Mobley, Larry Young.
Moltissime registrazione interessanti però, non vengono pubblicate durante la sua attività e, come detto in precedenza, spesso i dischi escono postumi.
Ad esempio The Complete Grant Green and Sonny Clark, che comprende tutti i dischi col il pianista Sonny Clark ,uscito solo nel 1997 per Mosaic Records.
Un altro esempio, forse ancora più importante, è la collaborazione musicale con Mc Tyner ed Elvin Jones, membri del John Coltrane Quartet, con cui Green realizza Matador e Solid, entrambi nel 1964.
Probabilmente anche a causa di divergente riguardo alle pubblicazioni, Green decide lasciare la Blue Note per registrare con diverse altre case discografiche come la Verve.
Funk ed Acid Jazz - Green Is Beautiful
Essendo ormai diventato fortemente dipendente dall’eroina, Green non è molto produttivo negli anni tra il 1966 ed il 1969. In questo ultimo anno ritorna in Blue Note per produrre un disco importantissimo per la musica futura: Green Is Beautiful.
Il disco esce nel 1970 e presenta una sound decisamente funk intriso di sonorità West Coast.
Questo album, praticamente un disco di cover, è chiaramente di stampo commerciale.
Sono presenti brani dei Beatles come A Day In The Life o Ain’t it Funky Now di James Brown.
Segnaliamo il grande trombettista Blue Mitchell nella formazione che registrato il disco.
Secondo alcuni critici, Grant Green è da considerare come il padre dell'acid jazz, grazie alle registrazioni di questo periodo. Tuttavia, nel contempo, i più strenui difensori della tradizione jazz lo snobbano e giudicano questo periodo della sua attività come decisamente deludente e poco nobile.
Le chitarre di Grant Green
Tra le chitarre usate dal chitarrista di cui stiamo parlando, è bene ricordare almeno un paio di modelli.
Una su tutte è la bellissima e particolare Gibson ES-300. La 330 ha una forma a doppia spalla mancante ed è molto simile alle ES-335, tuttavia è completamente vuota all’interno ed utilizzata dei pick-up P-90. Il suono acustico è assicurato ma non presenta la la forma e le dimensioni di una classica archtop. Green la usa per Green Street e Matador.
Nel disco Idle Moments, il suono di Green viene fuori da una bellissima Gibson L7.
La chitarra utilizzata negli ultimi anni, dal 1972 fino alla morte, è una stupenda D’Aquisto New Yorker.
Si racconta che Grant Green fosse completamente innamorato di questo strumento e lo suonasse per giorni. Dopo la sua morte, la chitarra per un periodo appartenne a George Benson.
Lo stile ed il lascito
Secondo quanto dichiarato da George Benson, Grant Green era solita azzerare completamente bassi ed acuti del suo amplificatore per fare emergere direttamente i medi. Questo espediente gli ha sicuramente assicurato un sound pungente e penetrante. Per quanto concerne il fraseggio, Green presenta sicuramente alcuni stilemi dell’era bebop e pre-bop, tuttavia non è un chitarrista particolarmente ricordato per il cromatismo.
Si dice che probabilmente lo evitasse, a favore di un sound più ricco di scale pentatoniche e qualche acciaccatura, data la sua iniziale formazione rhythm 'n' blues.
Sicuramente Grant Green è da annoverare nei grandi chitarristi jazz degli anni ’60 che hanno fatto da pionieri sia per la storia del jazz, acid jazz ed altri generi affini, sia per la storia della chitarra elettrica stessa.